Quello che Grimaldi ha trovato a Gaza in parte già lo conosciamo, e in parte lo si può immaginare. Ma l’autore del documentario è andato oltre la facile “iconografia” del corpo mutilato e del territorio martoriato, …
… cercando la strada che lo porta direttamente al cuore della gente.
Con quel prezioso tocco di umanità, umile e generoso insieme, che già aveva contraddistinto il suo “Americas Reaparecidas”, Grimaldi riesce a metterci in diretto contatto con i sentimenti degli abitanti di Gaza, senza mai scadere nel facile sentimentalismo. (L’unico “sentimentalismo” a cui Grimaldi non riesce a rinunciare, volendo essere onesti, e quello di “Bella Ciao”, il motivo che ogni tanto fa un nostalgico capolino dagli angoli più impensabili del racconto. Ma la sua ingerenza “politica” nel lavoro complessivo è nulla, e si può solo accoglierla con il dovuto rispetto verso chiunque abbia il coraggio di restare sempre fedele alle proprie idee, specialmente quando diventano meno popolari).
Di fronte a questo documentario infatti si può solo affermare che se tutti coloro che amano fregiarsi del titolo di giornalista avessero un centesimo del coraggio e dell’integrità morale di Fulvio Grimaldi, il mondo non starebbe dove si trova oggi.
Il lavoro di Grimaldi va anche interpretato come un omaggio a quei pochi giornalisti veri, che in Medio Oriente come altrove hanno perso la vita a causa del “fuoco amico”, che ultimamente si è dimostrato molto poco amico di chiunque si metta in cerca della verità.
Enzo Baldoni, Simon Cumbers, Raffaele Ciriello, Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Alan Johnston, sono solo alcuni dei nomi che non andrebbero mai dimenticati.
Di seguito si riportano alcune frasi di Grimaldi, tratte dalla parte finale del documentario:
Centinaia di bambini uccisi, il pianificato avvelenamento di tutto un popolo, il contemporaneo scatenarsi della violenza dei coloni in Cisgiordania, l’orribile muro del lager Cisgiordano, dichiarato illegale dalla Corte di Giustizia, la provocatoria espansione delle colonie, le inenarrabili vessazioni inflitte alla popolazione occupata con il furto dell’acqua, della terra, dei coltivi, la distruzione delle case e dei campi, gli oltre settecentomila posti di blocco, la frantumazione della continuità del residuo territorio palestinese, gli annunci di ulteriori pulizie etniche di Netanyahu e Libermann, lo scandalo del silenzio e della complicità di tanti governi e dei media, hanno determinato una svolta storica. L’olocausto si è spostato dall’Europa in Palestina.
Private, ambientato in Palestina e metafora dei grandi conflitti e delle convivenze forzate che questi generano. “L’idea non è originale, ma viene da una storia vera che appartiene alla striscia di Gaza, e racconta della convivenza ‘coatta’ che va avanti dal 1992, anno in cui la casa di questo intellettuale palestinese, professore di inglese, preside di una scuola media secondaria, viene occupata dall’esercito israeliano, perché verrà costruita una colonia a cinque metri dalla sua abitazione. Nella storia vera la vicinanza con la colonia è irrisoria: si apre la porta della cucina e ci si ritrova nella colonia. Nel film abbiamo cambiato moltissime verità della storia reale per, naturalmente, farne un film”, spiega Costanzo in occasione della presentazione del film a Bologna 2004. Un sorta di documentario, quindi, o, nella definizione di Costanzo stesso, uno psicodramma (“poi io lo chiamo ‘psicodramma’ ... forse Moreno [Jacob Levi Moreno, fondatore del “Teatro della Spontaneità”, N.d.R.] se la prenderebbe a male, perché non è che abbiamo adoperato proprio il metodo psicologico, però lo chiamiamo così perché c’è dentro moltissimo del nuovo psicodramma”).
Berlino febbraio 2005 ”Paradise Now" del regista palestinese Hany Abu-Assad riceve il premio Amnesty International.
“Paradise Now è una piccola storia che parla di un grande conflitto. È un racconto che ha una morale, ma che non pretende di fare morale, è commovente ma non sentimentale. È un film che ti costringe a confrontarti con la realtà è ti ricorda che ogni persona può fare la differenza. Il film denuncia le cause di cui può nutrirsi una violenza inumana. La storia di due amici palestinesi, scelti per il martirio, tra paure e ripensamenti.
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